Due caratteristiche della Cappella Sistina la avvicinano alla televisione di oggi: l’esperienza “immersiva” in cui è trasportato chi vi entra, avvolto e sovrastato da immagini grandiose, e il carattere “tattile” di questa esperienza generato – secondo la nota definizione di tattilità di McLuhan- da un coinvolgimento profondo di tutti i sensi, e da una “traduzione” delle percezioni da un canale sensoriale all’altro (in particolare dalla vista al tatto e viceversa), in modo tale da intensificare il rapporto con l’ambiente.
Colpisce moltissimo la fisicità della rappresentazione, la sua dimensione fortemente carnale (la pelle, i muscoli, la plasticità dei corpi), che rischia di sbilanciare il rapporto comunicativo, di assorbire e totalizzare la percezione in questa bellezza e possenza puramente materiale. Secondo Arnheim (Arte e percezione visiva, Milano, Feltrinelli, 2002 [1954]), una caratteristica della pittura di Michelangelo è la rappresentazione dei corpi in torsione, in modo da rendere ancora più evidente il lavoro della massa muscolare e aumentare il senso di plasticità. Questa esuberanza tattile, oltre alla saturazione dello spazio pittorico attraverso le immagini, contribuisce a far percepire e a rendere visibile quel senso dell’eccesso e della dismisura che caratterizza il rapporto di Dio con l’uomo. Ma questo stesso eccesso si presta anche, nel nome della libertà dell’essere umano, a essere frainteso, a risultare in sé appagante. E questo è il simbolo del rischio che si corre anche oggi, in una esistenza quotidiana satura di sollecitazioni che apparentemente rimandano solo a se stesse, e a un universo totalmente materiale che si presenta coi caratteri dell’autosufficienza. E in questa pretesa totalizzante sta anche il rischio dello snaturamento del corpo: quella stessa fisicità, celebrata in modo così poetico nel Cantico dei Cantici, se strappata alla dimensione spirituale rischia di diventare carne esibita, pura merce, e in quanto tale impoverita, oscena. ...